Risponde del reato di esercizio abusivo della professione colui che tiene consulenze fiscali senza essere iscritto all’albo

È quanto stabilito dalla Corte di Cassazione Penale con la sentenza n.12282 del 16 aprile 2020, con la quale ha respinto il ricorso presentato da una donna avverso la decisione della Corte d’Appello di Trieste che, confermando la sentenza dei Giudici di prime cure, la condannava per esercizio abusivo dell’attività professionale riservata agli iscritti all’ordine dei commercialisti e degli esperti contabili.

Nello specifico, l’attività che essa svolgeva si caratterizzava nella tenuta di contabilità, assistenza fiscale e tributaria, pagamenti delle imposte e redazione di dichiarazioni fiscali; tutte attività svolte dall’imputata e per le quali è richiesta, ai fini dello svolgimento medesimo, l’iscrizione all’albo dei dottori commercialisti.

Ebbene, il difensore della donna, tramite ricorso in Cassazione, ha posto l’accento sulla circostanza – in tesi scriminante – che i clienti dell’imputata fossero consapevoli del fatto che la stessa non fosse iscritta ad alcun Albo professionale. Ciò, in ragione del fatto che sulle fatture era presente la dicitura ” consulenze di direzione – legale rapp. Iscritto all’Ancot” e che accanto al nome dell’imputata non era riportato il titolo di dottore commercialista.

Ad una diversa conclusione sono giunti gli Ermellini i quali hanno ribadito che si configura reato di esercizio abusivo della professione ex art. 348 c.p., ogniqualvolta in cui vi sia il compimento – senza titolo – di atti univocamente individuati come di competenza specifica della professione, ove compiuti in modo continuativo e professionale.

Come scriminante, ha aggiunto la Corte, non è poi sufficiente il semplice consenso da parte del destinatario della prestazione abusiva, essendo necessario che la mancata abilitazione all’attività professionale emerga su un piano generale e oggettivo.

Per questi motivi, la Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso e condannato la ricorrente al pagamento delle spese processuali, cui si è aggiunta la condanna al pagamento della somma di euro duemila in favore della Cassa delle Ammende.